Don Abramo Levi, nato a Fraciscio (Campodolcino) il 29 novembre 1920, fu ordinato prete il 5 giugno 1943 a Como. Pochi anni prima era stato ordinato prete il fratello di Abramo, Tommaso Levi, che sarà arciprete di Sondrio dal 1970 al 1987. Il novello sacerdote fu collaboratore del parroco a Cernobbio e ad Abbadia Lariana e nel 1950 fu chiamato ad insegnare al Seminario di Como. Giunse a Sondrio nel 1952. Vi arrivò per ministero: aveva chiesto lui stesso al suo Vescovo – Mons. Bonomini – di essere nominato assistente delle ACLI provinciale.
Del suo arrivo a Sondrio, e dei suoi problemi di adattamento nella cittadina scrive il Levi stesso nel volume Una chiesa, un popolo, i suoi preti. Presto, comunque egli si ambientò, accolto e alloggiato dalle Suore della Sacra Famiglia di Mese, dapprima presso la casa di via Lavizzari, poi, per un lungo tratto di tempo, presso l’Ala Materna di via Carducci e quindi ancora, e sino alla sua morte, nella casa di riposo di via Lavizzari. Sempre a Sondrio egli fu insegnante di Religione alle scuole Magistrali.
Il suo inserimento nel tessuto religioso, sociale e culturale della città mise subito alla prova la sua straordinaria capacità di stare nella storia, nel presente, con uno sguardo mai fermo o chiuso negli angusti orizzonti dell’attualità, ma aperto alle grandi tradizioni del passato e alle novità del futuro.
Nutrito dallo studio della Bibbia e dalla frequentazione della tradizione Cattolica, Abramo Levi si confrontò con la cultura contemporanea a tutto campo, prova ne sia la lunga collaborazione (dal 1949 al 1962) con la rivista “Letture” del centro San Fedele di Milano, di cui fu assiduo redattore occupandosi prevalentemente di letteratura straniera.
Durante il periodo della ricostruzione del tessuto democratico dopo la guerra, il Levi, nel suo ruolo di assistente delle ACLI, affrontò le grandi questioni sociali, strettamente legate alle rivendicazioni del mondo del lavoro, alla luce della dottrina della Chiesa e in un confronto ravvicinato e serrato con le tematiche del socialismo e del comunismo.
Furono anni di profondi cambiamenti nel tessuto sociale e culturale della provincia, in cui, anche per la costruzione degli invasi e delle centrali idroelettrici, il "progresso" segnava il tramonto e la dissoluzione del secolare mondo agricolo e contadino. Abramo Levi fu presente con la sua azione pastorale nei vari cantieri di costruzione delle ciclopiche dighe (Cancano, Valbelviso, Valmalenco, val Vedello), mettendosi in ascolto delle nuove sensibilità e dei nuovi approcci che i lavoratori stavano maturando nei confronti della realtà.
Sempre con l’Associazione dei Lavoratori Cristiani, nel 1959, fondò un periodico: l’ "Incontro", che oltre a servire di collegamento tra tutti i gruppi ACLI della Provincia, divenne il luogo in cui si proposero riflessioni e considerazioni innovative sulla partecipazione dei cattolici al movimento politico e sindacale.
Le sue riflessioni, attraverso numerosi articoli, furono puntuali e sempre più indirizzate a chiarire che (sono sue parole scritte nel N°4 de L’Incontro) “l’ispirazione cristiana non è una saponetta con cui ci si profuma, essa non elimina i veri problemi sociali, essa esige che le ugualianze civili e politiche siano accompagnate da quelle economiche e sociali. E’ ben poca conquista che tutti vadano a votare se uno ancora ci va da pescecane e l’altro da pesciolino”. Tutto ciò in perfetta sintonia con lo stile della chiesa di Giovanni XXIII: uno stile che nel chiedere la giustizia e la pace in terra “riesce vittorioso nel non volere nulla e nessuno da vincere”.
Profonde motivazioni, dunque, unitamente a esperienze sul campo, contribuirono alla adesione convinta alla stagione conciliare di cui Abramo Levi con le sue meditazioni e i suoi scritti fu non solo un sicuro protagonista, ma anche un instancabile commentatore anche quando scemarono i facili entusiasmi.
Con la sua sempre più estesa frequentazione di molti amici e personalità intellettuali in Italia e all’estero (va ricordata per tutte la sua fraterna amicizia con Padre Davide Maria Turoldo) egli testimoniò quanto dalla provincia, anche la più negletta, ci si può aprire al mondo e come da questa apertura possano scaturire tesori di comprensione, di condivisione, di umanità e di saggezza. Certo, chi ha conosciuto Sondrio attraverso la figura di Abramo Levi, ha avuto la fortuna di avvicinare la città in un particolare stato di “grazia”.
L’inizio degli anni Sessanta segnò la fine di una stagione nell’impegno pubblico del Levi: egli smise la collaborazione con la rivista "Letture" e lasciò l’incarico di assistente alle ACLI.
In questo periodo egli si avvicinò ancor più alla cultura francese, e nel suo ininterrotto studio dei Testi Sacri e della tradizione cattolica, scoprì e studiò la figura di Teresa di Lisieux (in seguito proclamata dottore della Chiesa). Proprio durante la sua partecipazione in Francia ad un seminario sulla santa, Abramo Levi strinse amicizia con il futuro vescovo nero del Camerun, Pierre Augustin Knou: una (per lui) “inaspettata” apertura missionaria che sicuramente contribuì ad affinare la sua attenzione ai problemi del terzo mondo, facendone anche un criterio di misura con il quale osservare e giudicare fatti e misfatti di casa nostra. Da questa sensibilità, coltivata con profonda partecipazione, sortirà lo scritto “Oscar Arnulfo Romero. Un vescovo fatto popolo”.
La sensibilità pedagogica di Abramo Levi si era manifestata sin dal suo arrivo a Sondrio (i primi articoli pubblicati sul “Corriere della Valtellina” erano dedicati alle varie fasi evolutive dell’infanzia) e fu certamente arricchita dal suo impegno di insegnante. Ma fu sicuramente il suo naturale carisma di “maestro”, la sua istintiva attitudine a fiutare nell’aria le novità (quelle buone) unitamente alla sua straordinaria capacità di entrare in relazione con chiunque bussasse alla sua porta ciò che lo portò a entrare in contatto con il mondo studentesco e a condividere con la sua presenza affettuosa l’esperienza del movimento del ’68, apportandovi il proprio contributo attraverso la rivisitazione di figure quali quelle di don Lorenzo Milani e Ignazio di Loyola, e la meditazione su un filosofo dell’essere quale fu Felice Balbo.
Chi, allora studente, ha avuto il privilegio di conoscere Abramo Levi può ben sottoscrivere ciò che di lui ha affermato una sua amica: egli aveva un modo di accoglierti simile a quello di Dio: accoglieva tutti indistintamente, ma ciascuno in modo unico. Era questa una “tenerezza affettuosa”, quella in grado di far scoprire ad ognuno non la verità astratta, universale, ma la propria verità, quella innestata nella propria persona e nella propria carne; la “parola unica” dell’essere, ognuno, una creatura.
Forse è proprio questo “stile”, questa maniera di essere presente nella città, ciò che ha ispirato e sostenuto la ricchissima produzione di scritti che prese maggiore abbrivio proprio nel post-'68, a partire da Teresa di Lisieux del 1967 (considerato da molti il suo capolavoro di riflessione teologica-spirituale).
Il luogo della dimora, Sondrio, è allora fisicamente significativo nella riflessione di Abramo Levi: luogo primario di accoglienza, di ascolto, di dialogo, di elaborazione. Luogo da cui partiva per i suoi viaggi intellettuali o per quelli che lo portavano ovunque a partecipare a corsi, seminari, conferenze. Con lui e attraverso il suo esempio si è imparato come la dimensione del “locale”, del dimorare in un luogo e di sentirsene parte, è coglibile nella sua verità e pienezza solo se impastata con il resto, con ciò che sta fuori, e solo se si mantiene sempre in vigore quello che lui definiva “il doppio senso di circolazione”, dove centro e periferia si scambiano volta a volta i propri attributi.
Dagli anni Settanta in poi Abramo Levi svolse una intensissima attività di scrittura, unitamente all’insegnamento di Teologia in corsi specifici e alla animazione e promozione di gruppi informali sullo studio e la meditazione delle Sacre Scritture. Tanti sono i materiali prodotti da queste attività e che sono ancora inediti e da recuperare sia da registrazioni che da appunti.
Da sottolineare, poi, la sua partecipazione come redattore di "Sevitium", la rivista fondata da padre Turoldo (nel frattempo rientrato in Italia dopo un forzato "esilio"). I vari saggi prodotti dal Levi nella sua trentennale collaborazione ad essa testimoniano della originalità e della genialità della sua meditazione e rappresentano, complessivamente, una specie di laboratorio dove egli mette alla prova e sviluppa le proprie intuizioni, molte delle quali formeranno poi oggetto delle sue pubblicazioni in volume.
Don Abramo Levi ha percorso con il suo passo di montanaro e sino agli ultimi mesi della sua vita le strade di Sondrio e dei suoi dintorni: tanti ricordano gli incontri con lui lungo i sentieri che circondano la città: il suo cappello, il suo sorriso, la sua cordialità, il suo umorismo.
Un passeggiare foriero di straordinari risultati, visto che s’alternava, appunto, con una attività di scrittura che da saggistica era ultimamente tornata alla prosa, alla narrativa, ricollegandosi idealmente al suo secondo scritto del 1947 La vita vince pubblicato con lo pseudonimo Lionello.
Una felice congiuntura volle che alla nascita di una casa editrice a Sondrio agli inizi degli anni Novanta corrispondesse questa “vena” artistica del Levi il quale ha voluto donare ad essa e, attraverso essa, ad ognuno i frutti del suo genio narrativo che per originalità, stile letterario e profondità di sentire lo pongono senza ombra di dubbio nel novero dei migliori scrittori e al vertice di quelli provinciali d’ogni tempo.